domenica 15 maggio 2011

Gli anziani delle nostre città. Emergenza o risorsa?

Rossella D’Ugo
Uno dei maggiori temi che la nostra società si trova ad affrontare è quello degli anziani, una emergenza educativa che la Pedagogia vorrebbe tramutare in risorsa. L’evidente allungamento dei cicli della vita è uno dei trend di cambiamento del mondo contemporaneo, un trend che determina un aumento della popolazione anziana, di quella fascia generazionale che dovrebbe essere messa nelle condizioni di coltivare un’educazione per tutta la vita, nel rispetto e nel valore del proprio potenziale cognitivo e nella prospettiva globale di una più elevata qualità della vita.
Il problema della vecchiaia si presenta, oggi più che mai, contraddistinto da una ambivalente caratterizzazione: da un lato, l’età anziana rappresenta il “peso degli anni”, l’età della pensione, un vuoto lavorativo e culturale che potrebbe determinare un processo di esclusione e marginalità della persona. Il tutto determina, nell’immaginario della società, una connotazione negativa di questa fase della vita e la conferma che gli anziani rappresenterebbero solo un “peso”. Un problema che si tramuta in emergenza e che vorremmo “ribaltare”, supportati, dapprima, da solidi apparati teorici e, successivamente, incoraggiati dalla creazione di un nuovo scenario cittadino, in fase di progettazione, in grado di rendere gli anziani nuovi protagonisti dei nostri territori metropolitani.
Questa “categoria” di cittadini, infatti, potrebbe concretamente divenire un’insostituibile risorsa per la collettività: a differenza delle altre fasce d’età, loro dispongono di un tempo libero da poter investire in molte direzioni, un tempo che potrebbe e dovrebbe farsi costruttivo, così da portarli ad intraprendere nuovi ruoli e nuove funzioni sociali e divenire, in questo modo, pienamente risorse.
In quella che oggi sembra poter essere definita una “vecchiaia metropolitana”, i ruoli degli anziani possono divenire molteplici e insostituibili. È questo quello che vorremmo dimostrare: un anziano può farsi alleato della sua città e una città può diventare alleata dei suoi anziani.
In occasione della “II Conferenza mondiale sull’invecchiamento”, tenutasi a Madrid nel 20021 (a distanza di dieci anni dalla prima di Vienna), prendendo atto dellincremento demografico e dellinvecchiamento della popolazione dei Paesi occidentali, si pose lattenzione sulla necessità di valorizzare la “nuova” popolazione anziana, integrandola di diritto come componente fondamentale di ogni comunità civile. Non solo. Bisognava rendersi conto del nuovo ruolo degli anziani: il loro potere e sapere essere, appunto, risorsa. Ma perchè un tale obiettivo possa essere pienamente raggiunto serve il superamento di quei modelli culturali ancora contrassegnati da profondi pregiudizi nei confronti delletà anziana e di quelle generalizzazioni riduttive che insistono nel considerare la vecchiaia come una fase involutiva, di decadenza e di perdita. Franca Pinto Minerva ricorda, a tal proposito, che si tratta di unetà diversa dalle altre, in quanto età carica di storia, esperienze, speranze e delusioni2. Un tempo, proprio per questo, che diviene una nuova opportunità per continuare ad imparare e a progettare, per scoprire di essere ancora in grado di offrire il proprio aiuto, la propria molteplice competenza alle altre fasce generazionali. Per questo motivo è necessario, un nuovo modello culturale in grado di promuovere un concreto patto di alleanza intergenerazionale all’interno del quale giovani e anziani possano reciprocamente scambiarsi conoscenze e crescere.
Ma, si sente dire, l’anziano non lavora, lanziano non produce, lanziano, semplicemente, “non fa. Questo, in maniera errata, quello che ritiene lopinione pubblica. Lobiettivo non è qui solo quello di dimostrare il contrario, quanto quello di riflettere sullidentità dellanziano, che va cercata e definita in quanto tale e non attraverso categorie di differenza: “l’anziano è diverso dai bambini perchè”, “è diverso dai giovani perchè” ed “è diverso dagli adulti perchè”. Motivi, questi, che inducono spesso lanziano a vivere unimmagine difettiva espropriata di ruoli e funzioni alla quale finisce inevitabilmente per assogettarsi. Il tutto a causa di un dominio del modello adultocentrico, esattamente come avveniva per uninfanzia che, prima di esere “scoperta”, era soggetta ad una pesante subordinazione del potere delladulto, privata addirittura di un proprio modo di essere3.
Quello nel quale viviamo è allora il secolo in cui dare identità e autonomia allultima stagione della vita. Ma chi è davvero lanziano di oggi? Chi sono gli anziani che popolano le nostre metropoli? Per prima cosa sono individui che devono confrontarsi con la postmodernità, con un secolo in cui il problema è quello più ampio del soggetto-persona. Avverte a tal proposito Cambi: “ciò che è entrato in crisi è una visione dellanthropos, storicamente e culturalmente specifica, che è stata de-costruita, re-interpretata, mostrata nei suoi condizionamenti e smascherata nella sua identità locale, epocale e culturale4.
Lepoca postomoderna presenta, dunque, in sè il problema della definizione del soggetto, ovvero ha il compito di definire “quell’anthropos della formazione che oggi è prefigurato da varie scienze e saperi e che attende di essere delineato e posto al centro della stessa formazione sociale, di un modello di società aperta e come fulcro e come valore”5.
La questione dellidentità dellanziano deve essere analizzata, a nostro parere, allinterno della più generale questione del soggetto, di un soggetto postmoderno6 che è entrato in de-costruzione, che procede verso lincontro tra sè e gli altri, tra identità plurime e dialettiche, tra ibridazioni e avventure verso il non-ancora. Un sè che è alla ricerca di una nuova identità, instabile, ma progettuale, che si “dà-nel-farsi, e nel farsi-senza-garanzia”7. Un anthropos che, allora, necessita di essere guidato dalla Pedagogia attraverso un processo di autocostruzione e di progettazione creativa, al quale giungere grazie ad una formazione nella e per la libertà, soprattutto nel senso di motivazione e scelta, autonomia e regolazione8.
La stessa libertà che Laporta definiva impegno e scommessa deve caratterizzare la nuova identità dellanziano postmoderno. Formare lanziano secondo libertà significa, perciò, condurlo verso la qualità della vità, senza abbandonare mai la necessità della propria progettazione esistenziale.
Poste queste premesse, come definire, allora, lidentità dellanziano? Lanziano non lavora, dicevamo, ma consuma, come sostiene Ripamonti: è, infatti, un potenziale consumatore di offerte e servizi pensati ad hoc per le sue caratteristiche ed “è un consumatore di prodotti farmaceutici, cosmetici, servizi sanitari e assistenziali, proposte turistiche e culturali9.
Inoltre, lanziano è un elettore, un nonno, un pensionato, talvolta un soggetto da assistere e un malato. Sicuramente un cittadino10. È colui che vive in equilibrio tra due paradigmi opposti, uno di stampo assistenzialistico e laltro di carattere edonistico. Non è necessariamente un malato, ma non è nemmeno colui che può negare linvecchiamento11. Lanziano vive e deve vivere integrando queste due visioni opposte, grazie anche allaiuto offerto dalle metropoli e dai suoi servizi, che si faranno tanto più garanti della qualità della vita del soggetto anziano, quanto più saranno in grado di offrire risposte personalizzate, nuove relazioni e nuovi legami dopo il pensionamento, sostegno e assistenza per chi è solo, malato e abbandonato dalla famiglia, ovvero di promuovere offerte culturali per continuare ad imparare e a sviluppare diverse formae mentis durante tutto lintero arco della vita.
E l’anziano, inoltre, è prevalentemente un lungoresidente, legato alla propria casa, al proprio quartiere e alla propria città. Un lungoresidente che può farsi produttore di bene comune, grazie al suo patrimonio di esperienze, di capacità e competenze, così da rappresentare una fondamentale risorsa politica, etica e culturale12. Un vero produttore di conoscenza e di sapere13.
Grazie a queste caratteristiche identitarie, e grazie anche alla nostra capacità di restituirgli nel nostro stesso interesse adeguata partecipazione sociale, lanziano potrà acquisire un comportamento poietico. Infatti “l’esperienza pura del fare, cioè la poiesi, resta il fondamento di un rapporto nuovo, estetizzante appunto, con la realtà”14.
Caratteri distintivi, dunque, di un anziano cittadino di una città educativa, diverrano la socialità (in opposizione al temuto isolamento), la generatività (in opposizione ad una vita che si disperde), la capacità di cambiamento (in opposizione a routine che tendono a rinchiuderlo tra le mura domestiche) e, infine, lautostima (in opposizione ad un senso di costante insicurezza). Caratteri vitali nel segno di una rinnovata e mai interrotta progettazione esistenziale.
Unultima considerazione. Abbiamo condotto questa riflessione con la tacita accusa che la società spesso muove allanziano, considerandolo principalmente un “non lavoratore”. Si è detto, però, che lanziano produce bene comune: conoscenze e saperi. La sua identità, allora, va considerata una risorsa, intesa come mezzo, come capacità da inserire in un circuito di “doni” e di scambi.
Per questo viene da domandarsi: “e se la vecchiaia, soprattutto quella più estrema, fosse quell’eccedenza e quel sovrappiù che incessantemente la vita produce? E se il senso non attenesse al registro dellutile, bensì a quello della perdita e del superfluo? Non potremmo allora pensare e vivere lanzianità come unetà gloriosa, affine a quei comportamenti che caratterizzano la società del dono, i soli che (...) «determinano la vita umana e le assegnano un valore»?”15. Riflessioni, queste, che devono fondersi ed integrarsi con la prospettiva di una città educativa garante anche del tempo libero dei nuovi anziani, un tempo che stimoli continuamente il loro interesse e che vada incontro ai loro bisogni. Questo, come ricorda Franca Pinto Minerva, “è un elemento indispensabile del processo di apprendimento attivo […]. La possibilità che l’individuo conservi interessi vitali anche nella fase ultima dell’esistenza, fa pertanto parte del programma di formazione alla terza età”16 ed è fondamentale per promuovere l’evolutività del cervello anziano, per dare piena fiducia al continuum apprenditivo, pur in presenza di discontinuità ed eventuali crisi di transizione, per riconoscere a pieno la nuova identità dei soggetti anziani e rispettare la complessità dei loro bisogni, per aumentare, anche in questo senso, l’attenzione e i progetti verso una migliore organizzazione e un migliore funzionamento del sistema formativo integrato (mezzi, risorse, strategie operative e tecniche gestionali).
La nostra tesi è, perciò, la seguente: la città può divenire lo scenario più idoneo per promuovere nell’anziano la consapevolezza di un rinnovato ruolo nella comunità. Per questo motivo essa deve porsi come un luogo in grado di rispondere a domande assistenziali, in caso di necessità, ma deve essere, allo stesso tempo, il contesto privilegiato nel quale l’anziano impara (o riscopre) la socializzazione ed è messo nella condizione di poter partecipare ad attività culturali. Un luogo in cui l’anziano può rimanere attivo, intrecciando contemporaneamente nuove relazioni e nuovi legami con gli altri anziani, ma anche con le altre fasce generazionali e culturali, in un ininterrotto processo di crescita. La città, dunque, deve offrire la possibilità di promuovere e seguire questa “rinnovata” crescita degli anziani, permettendo loro di scoprire e di sperimentare nuovi ruoli in nuovi luoghi. Un nuovo modello sociale ed educativo in grado di superare, come già sottolineato, gli stereotipi che troppo spesso caratterizzano la terza età e capace di sconfiggere l’eventuale solitudine e la temuta depressione. Strategie d’azione innovative, da un lato, e pratiche in grado di essere localmente realizzate17, dall’altro lato, appaiono oggi le basi per promuovere una buona qualità della vita dei nostri anziani: luoghi cittadini in grado di offrire agli anziani sostegno e assistenza, ma anche occasioni di convivialità sociale e di formazione tali da garantire in loro nuove chiavi di lettura sia della propria vita che del proprio territorio, grazie allo sviluppo di ulteriori capacità critiche.



1 II Assemblea mondiale dell’invecchiamento promossa dall’ONU, Costruire una società per tutte le età, Madrid, 8-12 aprile 2002.
2 Cfr. F. Frabboni, F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, cit.
3 Cfr. F. Frabboni e F. Pinto Minerva, La scuola dell’infanzia, Laterza, Roma-Bari 2008.
4 F. Cambi, “La «questione del soggetto» come problema pedagogico”, Studi sulla formazione, University Press, Firenze 2008, p. 99.
5 Ivi, p. 100.
6 Il riferimento è, ancora, F. Cambi, “La «questione del soggetto» come problema pedagogico”, cit., pp. 99-107.
7 F. Cambi, La «questione del soggetto» come problema pedagogico, cit., p. 103.
8 Ivi, p. 105; Cfr. Laporta R., Avviamento alla pedagogia, Roma, Carocci 2001.
9 E. Ripamonti, Anziani e cittadinanza attiva. Imparare per sé, impegnarsi con gli altri, Unicopli, Milano 2005, p. 71.
10 Ibidem.
11 Ivi, p. 72.
12 Ivi, p. 135.
13 Ivi, p. 207.
14 G. Saladini, Anziani del 2000, Armando Editore, Roma 2003, p. 76.
15 P. Molinatto, Quale sguardo presidia le politiche e i servizi per gli anziani?, in P. Molinatto (a cura di), Lavorare con gli anziani: reti sociali, servizi ed empowerment, Gruppo Abele, Torino 2004, p. 38.
16 F. Pinto Minerva F., Educazione e senescenza, Bulzoni Editore, Roma 1974, p. 55.
17 E. Ripamonti, Anziani e cittadinanza attiva, cit., p. 11.